
Studio Legale Vassalli
Articoli 456 e seguenti del Codice Civile
La successione a causa di morte si apre al momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto (art. 456 c.c.).
L’eredità si devolve solo per legge o per testamento (art. 457, 1° comma, c.c.).
Nel nostro ordinamento vi è il divieto di patti successori: l’art. 458 c.c., infatti, sancisce la nullità di ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione; è altresì nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi
Ai sensi dell’art. 460 c.c., il chiamato all’eredità è titolare di una serie di poteri prima dell’accettazione: egli può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di materiale apprensione; inoltre, può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, e può farsi autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio. Non può il chiamato compiere gli atti predetti quando si è provveduto alla nomina di un curatore dell'eredità.
Se il chiamato all'eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi. Se questi non sono d'accordo per accettare o rinunziare, colui che accetta l'eredità acquista tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari, mentre vi rimane estraneo chi ha rinunziato (art. 479, 1° e 2° comma, c.c.).
La rinunzia all'eredità propria del trasmittente include rinunzia all'eredità che al medesimo è devoluta (art. 479, 3° comma, c.c.).
L’EREDITÀ GIACENTE
Quando il chiamato non ha accettato l'eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d'ufficio, nomina un curatore dell'eredità (art. 528 c.c.).
Il curatore è tenuto a procedere all'inventario dell'eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima, ad amministrarla, a depositare presso le casse postali o presso un istituto di credito designato dal tribunale il danaro che si trova nell'eredità o si ritrae dalla vendita dei mobili o degli immobili, e, da ultimo, a rendere conto della propria amministrazione (art. 529 c.c.).
Il curatore può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale.
Se però alcuno dei creditori o dei legatari fa opposizione, il curatore non può procedere ad alcun pagamento, ma deve provvedere alla liquidazione dell'eredità (art. 530 c.c.).
Il curatore cessa dalle sue funzioni quando l'eredità è stata accettata (art. 532 c.c.).
LA CAPACITÀ DI SUCCEDERE
Sono capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione. Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti (art. 462, 1° e 3° comma, c.c.).
Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro i trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta (art. 462, 2° comma, c.c.).
L’INDEGNITÀ
È escluso dalla successione come indegno (art. 463 c.c.):
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale;
3-bis) chi, essendo decaduto dalla podestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta, non è stato reintegrato nella podestà alla data di apertura della successione della medesima;
4) chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;
5) chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;
6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.
L’art. 5, 1° comma, della L. 4/2018, ha introdotto l’art. 463-bis che disciplina la “Sospensione della successione”: sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell'unione civile indagati per l'omicidio volontario o tentato nei confronti dell'altro coniuge o dell'altra parte dell'unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. In tal caso si fa luogo alla nomina di un curatore ai sensi dell'articolo 528 c.c. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell'articolo 463 c.c.
Il secondo comma dell’art. 463-bis c.c. estende l’applicabilità anche nei casi di persona indagata per l'omicidio volontario o tentato nei confronti di uno o entrambi i genitori, del fratello o della sorella.
Il pubblico ministero, compatibilmente con le esigenze di segretezza delle indagini, comunica senza ritardo alla cancelleria del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, ai fini della sospensione.
Colui che è escluso per indegnità dalla successione non ha sui beni della medesima che siano devoluti ai suoi figli, i diritti di usufrutto o di amministrazione che la legge accorda ai genitori (art. 465 c.c.). Inoltre, l'indegno è obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l'apertura della successione (art. 464 c.c.).
L’art. 466 c.c. prevede la riabilitazione dell’indegno: chi è incorso nell'indegnità è ammesso a succedere quando la persona, della cui successione si tratta, ve lo ha espressamente abilitato con atto pubblico o con un testamento. Tuttavia l'indegno non espressamente abilitato, se è stato contemplato nel testamento quando il testatore conosceva la causa dell'indegnità, è ammesso a succedere nei limiti della disposizione testamentaria.
LA RAPPRESENTAZIONE
A norma dell’art. 467 c.c., la rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l'eredità o il legato.
Si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha provveduto per il caso in cui l'istituito non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale.
La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli anche adottivi, e, nella linea collaterale, a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto. I discendenti possono succedere per rappresentazione anche se hanno rinunziato all'eredità della persona in luogo della quale subentrano, o sono incapaci o indegni di succedere rispetto a questa (art. 468 c.c.).
La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe (art. 469 c.c.). La rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe.
Quando vi è rappresentazione, la divisione si fa per stirpi. Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.
ACQUISTO E RINUNZIA DELL’EREDITÀ
L’ACCETTAZIONE DELL’EREDITÀ
La successione a causa di morte si apre al momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto (art. 456 c.c.).
L'eredità si acquista con l'accettazione. L'effetto dell'accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione (art. 459 c.c.).
L’accettazione dell’eredità si può impugnare quando è effetto di violenza o di dolo (art. 482 c.c.); la relativa azione si prescrivere in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
L'accettazione dell'eredità non si può impugnare se viziata da errore (art. 483 c.c.). Tuttavia, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell'accettazione, l'erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell'eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta. Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti per intero, contro di loro è data azione di regresso. L'onere di provare il valore dell'eredità incombe all'erede.
Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in dieci anni (art. 480 c.c.). Il termine decorre dal giorno dell'apertura della successione e, in caso d'istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione. In caso di accertamento giudiziale della filiazione il termine decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione stessa. Il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte di precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno.
Chiunque vi ha interesse può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare (art. 481 c.c.).
L'accettazione può essere espressa o tacita (art. 474 c.c.), semplice o con beneficio di inventario (art. 470 c.c.).
L'accettazione è espressa quando in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede (art. 475 c.c.). È nulla la dichiarazione di accettare sotto condizione o a termine; parimenti è nulla la dichiarazione di accettazione parziale di eredità.
L'accettazione è tacita quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476 c.c.). Ad esempio, la donazione, la vendita o la cessione, che il chiamato all'eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell'eredità (art. 477 c.c.); anche la rinunzia ai diritti di successione, qualora sia fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione (art. 478 c.c.).
L’ACCETTAZIONE CON BENEFICIO DI INVENTARIO (art. 484 ss. c.c.)
L'effetto del beneficio d'inventario consiste nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede (art. 490 c.c.). Conseguentemente:
1) l'erede conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte;
2) l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti:
3) i creditori dell'eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell'erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l'erede decada dal beneficio d'inventario o vi rinunzi.
Ai sensi dell’art. 484 c.c., l'accettazione col beneficio di inventario si fa mediante dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale. Entro un mese dall'inserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario, nelle forme prescritte dal codice di procedura civile. Se l'inventario è fatto prima della dichiarazione, nel registro deve pure menzionarsi la data in cui esso è stato compiuto. Se l'inventario è fatto dopo la dichiarazione, l'ufficiale pubblico che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, far inserire nel registro l'annotazione della data in cui esso è stato compiuto.
I termini per l’accettazione con beneficio di inventario sono previsti dagli artt. 485 e 487 c.c., e variano a seconda che il chiamato sia o meno nel possesso dei beni ereditari.
In particolare, il chiamato all'eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l'inventario entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.
Compiuto l'inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell'articolo 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell'inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.
Il chiamato all'eredità che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d'inventario, fino a che il diritto di accettare non è prescritto. Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l'inventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall'autorità giudiziaria a norma dell'articolo 485; in mancanza, è considerato erede puro e semplice.
Quando ha fatto l'inventario non preceduto da dichiarazione d'accettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario; in mancanza il chiamato perde il diritto di accettare l'eredità.
Qualunque chiamato ha la facoltà di accettare con il beneficio d’inventario, ed il testatore non potrebbe mai impedirglielo (art. 470, 2° comma, c.c.). Alcuni soggetti, invece, hanno l’obbligo di farlo: essi sono i minori, gli interdetti, i minori emancipati e gli inabilitati (artt. 471 e 472 c.c.), nonché le persone giuridiche, le associazioni, le fondazioni e gli enti non riconosciuti, ad eccezione delle società (art. 473 c.c.)
Pagamento dei creditori e legatari: l’erede può pagare i debiti dell’eredità con liquidazione individuale, cioè paga i creditori e i legatari a misura che si presentano (art. 495 c.c.), sempre che non vi sia opposizione da parte di creditori o legatari ed egli stesso non intenda promuovere la liquidazione concorsuale.
Se vi è stata opposizione o se l’erede lo preferisca, la liquidazione sarà concorsuale (art. 498 e seguenti c.c.): questa procedura consta di una prima fase nella quale si forma lo stato passivo previa presentazione delle dichiarazioni di credito dei creditori e dei legatari; una seconda fase, nella quale si liquida l’attivo; una terza fase, nella quale si forma lo stato di graduazione tra i creditori privilegiati e quelli non privilegiati (i creditori sono collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione; essi sono preferiti ai legatari; tra i creditori non aventi diritto a prelazione l'attivo ereditario è ripartito in proporzione dei rispettivi crediti); una quarta ed ultima fase, nella quale si pagano i debiti ereditari.
L'erede, non oltre un mese dalla scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazioni di credito, se non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione, può rilasciare tutti i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari (art. 507 c.c.). A tal fine l'erede deve dare avviso ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza; deve iscrivere la dichiarazione di rilascio nel registro delle successioni, annotarla e trascriverla presso gli uffici dei registri immobiliari dei luoghi in cui si trovano gli immobili ereditari e presso gli uffici dove sono registrati i beni mobili. Dal momento in cui è trascritta la dichiarazione di rilascio, gli atti di disposizione dei beni ereditari compiuti dall'erede sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari. L'erede deve consegnare i beni al curatore nominato. Eseguita la consegna, egli resta liberato da ogni responsabilità per i debiti ereditari.
Trascritta la dichiarazione di rilascio, il tribunale del luogo dell'aperta successione, su istanza dell'erede o di uno dei creditori o legatari, o anche d'ufficio, nomina un curatore, perché provveda alla liquidazione (art. 508 c.c.). Il decreto di nomina del curatore è iscritto nel registro delle successioni. Le attività che residuano, pagate le spese della curatela e soddisfatti i creditori e i legatari collocati nello stato di graduazione, spettano all'erede.
La sanzione che il legislatore commina nel caso in cui l’erede non ottemperi ad una serie di oneri a proprio carico è quella della decadenza dal beneficio dell’inventario. Ad esempio, l’erede decade dal beneficio d’inventario, se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari, o transige relativamente a questi beni senza l’autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile (art. 493 c.c.); decade altresì l’erede che ha omesso in mala fede di denunziare nell’inventario beni appartenenti all’eredità, o che ha denunziato in mala fede, nell’inventario stesso, passività non esistenti (art. 494 c.c.).
LA RINUNZIA ALL’EREDITÀ
La rinunzia all'eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni (art. 519 c.c.). La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le forme predette.
È nulla la rinunzia fatta sotto condizione o a termine o solo per parte (art. 520 c.c.).
Chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato (art. 521 c.c.). Il rinunziante può tuttavia ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile.
Nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell'ultimo comma dell'articolo 571. Se il rinunziante è solo, l'eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse (art. 522 c.c.).
Nelle successioni testamentarie, se il testatore non ha disposto una sostituzione e se non ha luogo il diritto di rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi a norma dell'articolo 674, ovvero si devolve agli eredi legittimi a norma dell'articolo 677 (art. 523 c.c.).
Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare la eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti (art. 524 c.c.): il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia.
Fino a che il diritto di accettare l'eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità (art. 525 c.c.).
La rinunzia all'eredità si può impugnare solo se è l'effetto di violenza o di dolo (art. 526 c.c.): l'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo.
I chiamati all'eredità, che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all'eredità stessa, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici nonostante la loro rinunzia (art. 527 c.c.).
LA SEPARAZIONE DEI BENI DEL DEFUNTO DA QUELLI DELL’EREDE
La separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l'hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell'erede (art. 512 c.c.). Il diritto alla separazione spetta anche ai creditori o legatari che hanno altre garanzie sui beni del defunto. La separazione non impedisce ai creditori e ai legatari che l'hanno esercitata, di soddisfarsi anche sui beni propri dell'erede.
I creditori del defunto possono esercitare la separazione anche rispetto ai beni che formano oggetto di legato di specie (art. 513 c.c.).
I creditori e i legatari che hanno esercitato la separazione hanno diritto di soddisfarsi sui beni separati a preferenza dei creditori e dei legatari che non l'hanno esercitata, quando il valore della parte di patrimonio non separata sarebbe stato sufficiente a soddisfare i creditori e i legatari non separatisti (art. 514 c.c.). Fuori di questo caso, i creditori e i legatari non separatisti possono concorrere con coloro che hanno esercitato la separazione; ma, se parte del patrimonio non è stata separata il valore di questa si aggiunge al prezzo dei beni separati per determinare quanto spetterebbe a ciascuno dei concorrenti, e quindi si considera come attribuito integralmente ai creditori e ai legatari non separatisti.
Quando la separazione è esercitata da creditori e legatari, i creditori sono preferiti ai legatari. La preferenza è anche accordata ai creditori non separatisti di fronte ai legatari separatisti. Restano salve in ogni caso le cause di prelazione.
L'erede può impedire o far cessare la separazione pagando i creditori e i legatari, e dando cauzione per il pagamento di quelli il cui diritto è sospeso da condizione o sottoposto a termine oppure è contestato (art. 515 c.c.).
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione (art. 516 c.c.).
Il diritto alla separazione riguardo ai mobili si esercita mediante domanda giudiziale (art. 517 c.c.): la domanda si propone con ricorso al tribunale del luogo dell'aperta successione, il quale ordina l'inventario, se non è ancora fatto, e dà le disposizioni necessarie per la conservazione dei beni stessi. Riguardo ai mobili già alienati dall'erede, il diritto alla separazione comprende soltanto il prezzo non ancora pagato.
Riguardo agli immobili e agli altri beni capaci d'ipoteca, il diritto alla separazione si esercita mediante l'iscrizione del credito o del legato sopra ciascuno dei beni stessi (art. 518 c.c.). L'iscrizione si esegue nei modi stabiliti per iscrivere le ipoteche, indicando il nome del defunto e quello dell'erede, se è conosciuto, e dichiarando che l'iscrizione stessa viene presa a titolo di separazione dei beni. Per tale iscrizione non è necessario esibire il titolo. Le iscrizioni a titolo di separazione, anche se eseguite in tempi diversi, prendono tutte il grado della prima e prevalgono sulle trascrizioni ed iscrizioni contro l'erede o il legatario, anche se anteriori. Alle iscrizioni a titolo di separazione sono applicabili le norme sulle ipoteche.
LA PETIZIONE DI EREDITÀ
Con la petizione di eredità l'erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi (art. 533 c.c.): l'azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell'usucapione rispetto ai singoli beni.
L'erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo (art. 534 c.c.). Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede. Tale disposizione non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, se l'acquisto a titolo di erede e l'acquisto dall'erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell'acquisto da parte dell'erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l'erede apparente.
A norma dell’art. 535 c.c., le disposizioni in materia di possesso si applicano anche al possessore di beni ereditari, per quanto riguarda la restituzione dei frutti, le spese, i miglioramenti e le addizioni. Il possessore in buona fede, che ha alienato pure in buona fede una cosa dell'eredità, è solo obbligato a restituire all'erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l'erede subentra nel diritto di conseguirlo. È possessore in buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore di essere erede. La buona fede non giova se l'errore dipende da colpa grave.
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